Il reparto n.6

Nel cortile dell’ospedale c’è un piccolo reparto circondato da una vera e propria selva di lappole, ortiche e canapa selvatica. Il tetto è arrugginito, il comignolo è mezzo crollato, i gradini della scaletta d’ingresso sono marci e invasi dall’erba, dell’intonaco non sono rimaste che poche tracce. La facciata anteriore guarda verso il corpo centrale, quella posteriore verso i campi, dai quali lo divide il grigio steccato dell’ospedale, pieno di chiodi. I chiodi, le cui punte sono rivolte all’insù, il recinto e il reparto hanno tutti quel particolare aspetto squallido, lugubre, che da noi hanno solo le costruzioni ospedaliere e carcerarie.

La notte del Drive-in 3. La gita per turisti

Tutti loro vivevano nel grande drive-in Orbit, sotto un buco nel cielo popolato di ombre. Una volta il buco si contrasse come uno sfintere e cagò una melma scura e appiccicosa.
Che puzzava.
E si attaccava ai piedi.
Qualcuno credette che fosse commestibile, perché una volta erano piovute mandorle ricoperte di cioccolato e cose simili, ma quella poltiglia non c’entrava niente con le mandorle al cioccolato. Assolutamente niente. Quelli che la mangiarono si portarono le mani al ventre e morirono urlando.
Per un pezzo i loro corpi restarono accatastati accanto al recinto del drive-in, pronti per il trasporto. E furono trasportati, infatti, ma non lontano.

L’insostenibile leggerezza dell’essere

L’idea dell’eterno ritorno è misteriosa e con essa Nietzsche ha messo molti filosofi nell’imbarazzo: pensare che un giorno ogni cosa si ripeterà così come l’abbiamo già vissuta, e che anche questa ripetizione debba ripetersi all’infinito! Che significato ha questo folle mito?
Il mito dell’eterno ritorno afferma, per negazione, che la vita che scompare una volta per sempre, che non ritorna, è simile a un’ombra, è priva di peso, è morta già in precedenza, e che, sia stata essa terribile, bella o splendida, quel terrore, quello splendore, quella bellezza non significano nulla. Non occorre tenerne conto, come di una guerra fra due Stati africani del quattordicesimo secolo che non ha cambiato nulla sulla faccia della terra, benché trecentomila negri vi abbiano trovato la morte fra torture indicibili.

Il Signore degli Anelli: La compagnia del Re

Quando il signor Bilbo Baggins di Casa Baggins annunziò che avrebbe presto festeggiato il suo centoundicesimo compleanno con una festa sontuosissima, tutta Hobbiville si mise in agitazione.
Bilbo era estremamente ricco e bizzarro e, da quando sessant’anni prima era sparito di colpo, per ritornare poi inaspettatamente, rappresentava la meraviglia della Contea.

Tenera è la notte

teneraSulla bella costa della riviera francese, a mezza strada tra Marsiglia e il confine italiano, sorge un albergo rosa, grande e orgoglioso. Palme deferenti ne rinfrescano la facciata rosata, e davanti a esso si stende una breve spiaggia abbagliante. Recentemente è diventato un ritrovo estivo di gente importante e alla moda; dieci anni fa, quando in aprile la clientela inglese andava verso il Nord, era quasi deserto. Ora molte villette vi si raggruppano intorno; ma quando questa storia incomincia, soltanto i tetti di una dozzina di vecchie ville marcivano come ninfee in mezzo ai pini ammassati tra l’Hotel des Etrangers di Gausse e Cannes, otto chilometri più in là.

Notre Dame de Paris

Sono già oggi trascorsi trecentoquarantotto anni sei mesi e diciannove giorni da che i parigini si svegliarono al frastuono di tutte le campane che suonavano a distesa nella tripla cerchia della Cité, dell’Université e dell’intera città.
Il 6 gennaio 1482 non è però un giorno che la storia ricordi. Nulla di rimarchevole nell’evento che così scuoteva fin dal mattino, le campane e i borghesi di Parigi. Non si trattava né di un assalto di piccardi o di borgognoni, né di un reliquario portato in processione, né di una rivolta di scolari nella vigna di Laas, né di un ingresso del nostro temutissimo signor Messere il re, nemmeno di una bella impiccagione di briganti e di brigantesse in Place dela Justice a Parigi. Non era neanche l’arrivo, così frequente nel quindicesimo secolo, di qualche ambasciata tutta pennacchi e decorazioni. Erano trascorsi soltanto due giorni da che l’ultima cavalcata del genere, quella degli ambasciatori fiamminghi incaricati di concludere il matrimonio tra il delfino e Margherita di Fiandra, aveva fatto la sua entrata a Parigi, con grande preoccupazione di Sua Eminenza il cardinale di Borbone, il quale, per far piacere al re, aveva dovuto far buon viso a tutta quella rozza ressa di borgomastri fiamminghi, e lusingarli, a Palazzo Borbone con una molto bella moralità, satira e farsa, mentre una pioggia battente inondava alla sua porta i suoi magnifici arazzi.

L’anno della morte di Ricardo Reis

Qui il mare finisce e la terra comincia. Piove sulla città pallida, le acque del fiume scorrono limacciose di fango, la piena raggiunge gli argini. Una nave scura risale il flusso tetro, è la Highland Brigade che va ad attraccare al molo di Alcantara. Il vapore è inglese, delle Regie Linee, lo usano per attraversare l’Atlantico, fra Londra e Buenos Aires, come una spola sulle vie del mare, di qua, di là, facendo scalo sempre negli stessi porti, La Plata, Montevideo, Santos, Rio de Janeiro, Pernambuco, Las Palmas, in quest’ordine o nell’inverso, e se non naufragherà nel viaggio, allora toccherà Vigo e Boulogne-sur-Mer, infine entrerà nel Tamigi come ora sta entrando nel Tago, e non ci si chieda quale dei due fiumi sia il maggiore, quale il villaggio.

Fahrenheit 451

Era una gioia appiccare il fuoco.
Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Con la punta di rame del tubo fra le mani, con quel grosso pitone che sputava il suo cherosene venefico sul mondo, il sangue gli martellava contro le tempie, e le sue mani diventavano le mani di non si sa quale direttore d’orchestra che suonasse tutte le sinfonie fiammeggianti, incendiarie, per far cadere tutti i cenci e le rovine carbonizzate della storia. Col suo elmetto simbolicamente numerato 451 sulla solida testa, con gli occhi tutta una fiamma arancione al pensiero di quanto sarebbe accaduto la prossima volta, l’uomo premette il bottone dell’accensione, e la casa sussultò in una fiammata divorante che prese ad arroventare il cielo vespertino, poi a ingiallirlo e infine ad annerirlo.

Il rosso e il nero

La cittaduzza di Verriéres può passare per una delle più graziose della Franca Contea. Le sue case bianche con i tetti a punta, di tegole rosse, si stendono sul declivio d’una collina, sulla quale boschi di vigorosi castagni segnano le minime sinuosità. Il Doubs scorre qualche centinaio di piedi al di sotto delle sue fortificazioni, costruite già dagli Spagnuoli, e oggi in rovina.

American Psycho

“Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”, sta scritto scarabocchiato a grandi lettere rosso sangue su un muro della Chemical Bank, presso l’incrocio tra l’Undicesima Strada e la Prima Avenue, a New York; e l’iscrizione è tanto vistosa che la si legge comodamente dall’interno del nostro taxi, che avanza a piccoli strappi nel traffico caotico, proveniente da Wall Street. Timothy Price ha fatto appena in tempo a leggerla, quand’ecco che un autobus si affianca al taxi e gli chiude la visuale. Il torpedone reca sulla fiancata l’invito ad assistere aiMiserables in versione Broadway. A questo punto, Price – che ha ventisei anni e lavora per la Pierce & Pierce – si protende in avanti e dice al tassista che, se alza il volume della radio, gli darà cinque dollari di mancia. La radio sta trasmettendo Be my baby. L’autista negro non americano obbedisce.